martedì 18 novembre 2008

Ogni sera
mi tolgo la stanchezza dagli occhi
e la verso in un barattolo.

Ogni mattina è lì
quel veleno
nel bicchiere ad aspettarmi

domenica 16 novembre 2008


Io sono come quei bambini.
Nascono e muoiono in una scatola, come ognuno di voi. Solo che per loro è la stessa.
Il cordone non smette mai di accorciarsi ed espandersi.
Un giorno l’aria non passa più. E per la prima volta, il bambino sente freddo. Per pochi istanti.
Poi… nulla.

Io sono come quei bambini. Intrappolati in un corpo che ti nasce, ti nutre, ti scalda, ti cresce e ti uccide. Inerti e inconsapevoli, non indifferenti.
Ma quando uno strappo casuale ha crepato la membrana, lasciando colare un po’ di liquido denso e caldo sulla superficie della realtà, mi sono affacciato alla ferita e per un attimo ho sentito freddo. Ho sentito gli occhi bruciare, accecati dalla brillantezza dei colori. La pelle bagnata e nuda.
Ho fatto in tempo a respirare aria vera prima di tendere del tutto il guinzaglio che mi tiene in vita.
E ho visto due occhi verdi.


“Darei la vita per non morire” (Jim Morrison)

Morirei per sfiorare la vita. Di nuovo.

Io solo ed un guinzaglio d' oro

A volte non ti svegli così una mattina. Non ci dormi la notte, ma lo respiri ogni istante tutti i giorni, di tutti quelli che ti puoi ricordare, di ciascuno che ti incombe davanti.
E non basta correre per sentirsi meno incazzati. Né togliersi una scarpa ed aspettare che il tuo problema salti fuori e cada a terra, o aprire l’ armadio e fare un po’ d’ ordine tra camicie e scheletri, mendicando sollievo.
È quando ti guardi allo specchio e ti fai schifo. Senza scuse.
È la sensazione di vivere in affitto.

Ci sono bambini a cui non viene mai tagliato il cordone ombelicale.
Cresce e si rinforza con loro… queste persone vivono protette da una bolla di mucosa vitrea e traspirante. Possono vedere il mondo, ma non possono toccarlo direttamente. E i colori si sfocano con la distanza attraverso la parete viva e sottile. Il sangue che scorre denso attraverso il cordone li nutre, ricco di tutti i cibi. Ma non possono sentirne il sapore.
Questi bambini crescono coccolati nel tepore della bolla… ma non conoscono il freddo. Né la pelle d’oca lasciata da una carezza. I suoni del mondo sono vibrazioni lontane, si espandono e rimbombano in vibrazioni alterne del liquido amniotico. Il sorriso in uno sguardo o l’emozione di un contatto… sono allucinazioni altrui. Quei bambini conoscono solo l’abbraccio della bolla.

Quando diventano adulti, il cordone si sposta lentamente verso la testa, percorrendo tutto il tronco fino all’altezza del collo. Poi s’ingrossa e s’irrigidisce. Assume una tonalità di giallo tendente all’ ocra, e nei suoi vasi il plasma si mescola ad una sostanza dello stesso colore, brillante e metallica.
La bolla si assottiglia ed aderisce attillata al corpo, costretto in posizione eretta dalla nuova consistenza del cordone. La membrana in questo modo è più permeabile alla luce, e la persona nella bolla può finalmente vedere in modo distinto i colori, e sentire l’eco dei suoni. L’illusione di contatto con la realtà è molto forte in questo stadio. Ma la realtà appartiene a chi vive al di fuori della bolla. A quelli che sono nati.

domenica 9 novembre 2008


Azzurro. e rosso sopra

Ti svegli una mattina e sei incazzato nero. Anzi. Sei incazzato di brutto. Sei incazzato come uno che in realtá non si é svegliato... perché non si é mai neanche addormentato. Perché ha passato la notte a mordere il cuscino e a conficcarsi le unghie a fondo nella carne del palmo...Ti svegli una mattina e hai freddo e piove e sei distrutto e sei solo. Con la rabbia che hai nel sangue potresti uccidere un passante qualunque, cosí, solo per sentire la consistenza dei muscoli sotto la pelle lacera, per sentire il suono delle ossa che si spezzano, per gustare l´odore di paura e morte. Ti alzi ed é ancora azzuro. E rosso sopra. Come tutti i giorni. E sei solo.

L´aria é fredda sulla pelle nuda e piove. Strada d´asfalto nero e grigio riflette lo stesso cielo bianco e grigio di sempre ultimamente. La strada é bella perché é infinita. Potresti camminarla per sempre. Potresti guardarla sparire dietro a un milione di orizzonti. E nessuno sarebbe uguale.

Ho trovato la soluzione. Prendo la strada e corro. Contro la pioggia. Contro il vento. Contro la mancanza d´ossigeno. Corro la strada finché dura e se finisce mi giro e ne cerco un altra. Corro finché il sangue pompa ed i muscoli si tendono, finché ne resta solo poco e non arriva al cervello.
Solo allora sono finalmente libero... di non pensare a niente. Nirvana...
Corro finché questo corpo regge. Quando non regge piú, non smetto di correre. Aspetto di cadere. Poi mi rialzo.
Mi sono sempre rialzato... finora...

Un alba

Ti svegli una mattina. O almeno é quello che credi. Apri gli occhi e vedi un raggio di luce attravesrare il vetro spesso della finestra ed appoggiarsi languido sul cuscino accanto al tuo, ma senza far rumore. Non ti colpisce gli occhi. Li accarezza soltanto, di sfuggita, distrattamente. Ti svegli una mattina e sei di buon umore. Decidi di fare il bravo. Ti vesti in fretta, ti sciacqui la faccia con l´acqua fresca del bagno piccolo, ti butti una giacca sulle spalle ed esci, a piedi. Passi piccoli e veloci, passi lunghi e lenti, ti godi questa sensazione di risveglio di aria fredda sul viso di strada vuota di sole basso all´orizzonte, dev´essere prorpio presto, di luce gialla e giallo tutto e di essere abbagliato e voglia di vita. Ti stiracchi languido, saluti con un cenno il cane della vecchietta al di lá della strada, sei arrivato. Strucke. Entri e hai giá voglia di colazione mentre ordini 15 brötchen. La tipa ti guarda strano. Sorridi, fai: "Buongiorno!" Lei ti garda, alza un sopracciglio e, pefida: "Buonasera." Fine di un sogno.
Prendi il pane ed esci e il sole non si é alzato all´orizzonte. Alzi il colletto della giacca, hai freddo. Ti aliti sulle mani, vedi una nuvoletta di vapore bianco avvolgerle e sparire.
Come la luce.
Rintocchi in lontananza della messa delle 19...ombre lunghe dei tuoi passi sotto il freddo di un lampione.
È solo un´altra mattina...

venerdì 7 novembre 2008

Questa é la storia di due farfalle


Entrambe passarono la vita in una gabbia,
bianche pareti di carta della scatola come confini del proprio universo.
Le due farfalle non sapevano che cosa fosse la luce,
non avevano mai visto il cielo,
non avevano mai assaporato la fragranza
del nettare di un fiore...
Per questo vivevano,
quasi felici,
nel buio universo di cartone
che solo
conoscevano,
e non si potevano struggere per non essere libere,
perché non conoscevano la libertá.
Ma un giorno, sbadatamente,
il Collezionista fece cadere a terra
la gabbia
ed un angolino del coperchio, sollevandosi,
rovesció all´esterno della scatola
una delle due farfalle...