lunedì 22 dicembre 2008


Un sorrisino soddisfatto
denti bianchi sgranati dietro stoffa nera
mentre accelleri e sorpassi la statua cazzofallica
poco prima di inchiodare alla rotonda.
Un´altra é andata.
Sei entrato in quella stanza e in fondo un po´lo sapevi.
Era tutto come l´ultima volta, lo spazio, i colori, i corpi...
solo... altre facce.
Hai fatto solo quello che dovevi fare.
Certe volte mi chiedo se non sarebbe stato piú giusto fermarsi prima... vedi altre due porte chiudersi e ogni giorno é cosí. Parli a una ragazza avvinghiati sul materasso di quella sera e ad opportunitá lasciate scorrere al tempo. Per razionalitá, forse. Per pigrizia, spesso. Ho sorseggiato champagne caldo accoccolato tra le sue braccia e nei ricordi comuni. E ho lasciato le distanze accorciarsi e abbiamo rotto confini morali e distinzioni e sicurezze. Non abbiamo voluto spiegarci quello che é successo - e quello che non é successo. È cosí e basta.

È buio mentre accarezzi capelli color sangue e ti ricordi di stanze bianche.
Fluffy é un´ombra di pezza nel suo mantello nero, il legno della sedia a dondolo
cigola mentre si sporge a scrollare la cenere. Una cicca corta e slabbrata
girata da dita esperte e bruciate dal freddo, falangi sfumate di nicotina gialla.
Il lenzulo é teso e candido tra il tuo corpo ed i brividi che le sue unghie ti fanno vibrare lungo le vertebre
in graffi leggeri, appena sfiorati sulla pelle morbida. Puoi sentirla il suo respiro accennato
spezzarsi ogni tre battiti e sollevarsi e vivere sotto il tuo peso, cosí tremante e calda.
Accarezzarne la forma. E poi la voce. La tua e la sua. Il valore delle parole dipendere solo dalla forma delle labbra. Vuoi smettere di aspettare, ma restare lí per sempre.
Sollevarla in un tendersi di muscoli e sudore e lacrime e stringere forte. Sentire tessuti e carne
e sangue scorrere sempre piú forte sotto le tue dita e le pupille dilatarsi. E poi lasciarvi cadere
esausti sulla stoffa umida. La pelle si tende e s´increspa sotto le sue carezze.
-Silenzio.
Te ne accorgi piú che altro da un fulminio improvviso di una spia rossa morente.Fluffy ha premuto a lungo le nocche di pezza sul vetro prima di riaccasciarsi sulla sedia a dondolo
e leccarsi le ferite in nuvole di vapore bianco - e monossido di carbonio. L´impronta é un´alone bianco
di sfida alla condensa. La finestra é rimasta chiusa. Lei dorme. Ti sporgi sopra al suo corpo
godendo del contatto morbido delle sue forme scorrerti sotto. Premi l´unico pulsante grande e verde.
CD1. Track1. La musica ricomincia. Si diffonde placida e molle come una nebbia densa e anestetica.
Dimentichi tutto. Lei ha socchiuso le palpebre, ti sbircia e sorride. Ti stendi accanto al suo calore
e la abbracci di nuovo. Stringere gli occhi e i corpi. Cuore contro cuore. Lasciare fuori passato e Fluffy. ad assiderare.

sabato 13 dicembre 2008


... E alla fine il piccolo chiwawa di pezza posó la tazzina di caffé, pagó il conto e mi chiese un´altra sigaretta. Ce la smezzammo, perché era l´ultima che avevo: una Eve bianca, scroccata alla puttana all´angolo in cambio di un istante di rispetto. Era sera e aveva piovuto: l´acqua nello stagno artificiale si era alzata di un metro nell´ultimo metro, e di ben cinque in larghezza. Gli chiesi dove fossero i cigni. Mi disse di guardare meglio nell´acqua. Il riflesso era increspato dalla brezza umida e gelida, la stessa brezza puttana e gelida ad increspare le mie ossa. L´immagine era sfocata dalla luna cariata e candida, quando mi specchiai. E fu allora che capii.
Non c´erano piú papere da cacciare in quello stagno. Né loro né escrementi acidi e ciuffi di penne calve, no. Le papere da inseguire col cane
e a cui lanciare gli ultimi rami marci... eravamo noi.
Mi girai a guardare Fluffy- il piccolo chiwawa di pezza- ma lei non c´era piú. E -ma di questo me ne accorsi piú tardi, sul ferro di un tavolo di freddo- neanch´io.

mercoledì 10 dicembre 2008


Come pelle nivea e maledetta

Copre ogni cosa questa neve bianca e impietosa
Sorvola le fronde e i tetti di foglie tremule
Soffoca le impronte e i ricordi e le passioni
Raffredda i desideri e vanifica i sogni
Scende indifferente e candida questa bianca neve
Macchiata di chiazze scarlatte accanto alla mia ombra,
gocce rame come una parete rossa sopra un lenzuolo azzurro
di notti lontane, sangue e fantasmi a sporcare la patina
vergine, latte morbido e freddo a ricoprire il vialetto
col suo posarsi molle.
Cade placida e ignara questa neve bastarda
Soffiata in attimi di vapore pallido
Il ghiaccio si spacca come un lago nero e lontano
sotto i miei passi incerti

martedì 18 novembre 2008

Ogni sera
mi tolgo la stanchezza dagli occhi
e la verso in un barattolo.

Ogni mattina è lì
quel veleno
nel bicchiere ad aspettarmi

domenica 16 novembre 2008


Io sono come quei bambini.
Nascono e muoiono in una scatola, come ognuno di voi. Solo che per loro è la stessa.
Il cordone non smette mai di accorciarsi ed espandersi.
Un giorno l’aria non passa più. E per la prima volta, il bambino sente freddo. Per pochi istanti.
Poi… nulla.

Io sono come quei bambini. Intrappolati in un corpo che ti nasce, ti nutre, ti scalda, ti cresce e ti uccide. Inerti e inconsapevoli, non indifferenti.
Ma quando uno strappo casuale ha crepato la membrana, lasciando colare un po’ di liquido denso e caldo sulla superficie della realtà, mi sono affacciato alla ferita e per un attimo ho sentito freddo. Ho sentito gli occhi bruciare, accecati dalla brillantezza dei colori. La pelle bagnata e nuda.
Ho fatto in tempo a respirare aria vera prima di tendere del tutto il guinzaglio che mi tiene in vita.
E ho visto due occhi verdi.


“Darei la vita per non morire” (Jim Morrison)

Morirei per sfiorare la vita. Di nuovo.

Io solo ed un guinzaglio d' oro

A volte non ti svegli così una mattina. Non ci dormi la notte, ma lo respiri ogni istante tutti i giorni, di tutti quelli che ti puoi ricordare, di ciascuno che ti incombe davanti.
E non basta correre per sentirsi meno incazzati. Né togliersi una scarpa ed aspettare che il tuo problema salti fuori e cada a terra, o aprire l’ armadio e fare un po’ d’ ordine tra camicie e scheletri, mendicando sollievo.
È quando ti guardi allo specchio e ti fai schifo. Senza scuse.
È la sensazione di vivere in affitto.

Ci sono bambini a cui non viene mai tagliato il cordone ombelicale.
Cresce e si rinforza con loro… queste persone vivono protette da una bolla di mucosa vitrea e traspirante. Possono vedere il mondo, ma non possono toccarlo direttamente. E i colori si sfocano con la distanza attraverso la parete viva e sottile. Il sangue che scorre denso attraverso il cordone li nutre, ricco di tutti i cibi. Ma non possono sentirne il sapore.
Questi bambini crescono coccolati nel tepore della bolla… ma non conoscono il freddo. Né la pelle d’oca lasciata da una carezza. I suoni del mondo sono vibrazioni lontane, si espandono e rimbombano in vibrazioni alterne del liquido amniotico. Il sorriso in uno sguardo o l’emozione di un contatto… sono allucinazioni altrui. Quei bambini conoscono solo l’abbraccio della bolla.

Quando diventano adulti, il cordone si sposta lentamente verso la testa, percorrendo tutto il tronco fino all’altezza del collo. Poi s’ingrossa e s’irrigidisce. Assume una tonalità di giallo tendente all’ ocra, e nei suoi vasi il plasma si mescola ad una sostanza dello stesso colore, brillante e metallica.
La bolla si assottiglia ed aderisce attillata al corpo, costretto in posizione eretta dalla nuova consistenza del cordone. La membrana in questo modo è più permeabile alla luce, e la persona nella bolla può finalmente vedere in modo distinto i colori, e sentire l’eco dei suoni. L’illusione di contatto con la realtà è molto forte in questo stadio. Ma la realtà appartiene a chi vive al di fuori della bolla. A quelli che sono nati.

domenica 9 novembre 2008


Azzurro. e rosso sopra

Ti svegli una mattina e sei incazzato nero. Anzi. Sei incazzato di brutto. Sei incazzato come uno che in realtá non si é svegliato... perché non si é mai neanche addormentato. Perché ha passato la notte a mordere il cuscino e a conficcarsi le unghie a fondo nella carne del palmo...Ti svegli una mattina e hai freddo e piove e sei distrutto e sei solo. Con la rabbia che hai nel sangue potresti uccidere un passante qualunque, cosí, solo per sentire la consistenza dei muscoli sotto la pelle lacera, per sentire il suono delle ossa che si spezzano, per gustare l´odore di paura e morte. Ti alzi ed é ancora azzuro. E rosso sopra. Come tutti i giorni. E sei solo.

L´aria é fredda sulla pelle nuda e piove. Strada d´asfalto nero e grigio riflette lo stesso cielo bianco e grigio di sempre ultimamente. La strada é bella perché é infinita. Potresti camminarla per sempre. Potresti guardarla sparire dietro a un milione di orizzonti. E nessuno sarebbe uguale.

Ho trovato la soluzione. Prendo la strada e corro. Contro la pioggia. Contro il vento. Contro la mancanza d´ossigeno. Corro la strada finché dura e se finisce mi giro e ne cerco un altra. Corro finché il sangue pompa ed i muscoli si tendono, finché ne resta solo poco e non arriva al cervello.
Solo allora sono finalmente libero... di non pensare a niente. Nirvana...
Corro finché questo corpo regge. Quando non regge piú, non smetto di correre. Aspetto di cadere. Poi mi rialzo.
Mi sono sempre rialzato... finora...

Un alba

Ti svegli una mattina. O almeno é quello che credi. Apri gli occhi e vedi un raggio di luce attravesrare il vetro spesso della finestra ed appoggiarsi languido sul cuscino accanto al tuo, ma senza far rumore. Non ti colpisce gli occhi. Li accarezza soltanto, di sfuggita, distrattamente. Ti svegli una mattina e sei di buon umore. Decidi di fare il bravo. Ti vesti in fretta, ti sciacqui la faccia con l´acqua fresca del bagno piccolo, ti butti una giacca sulle spalle ed esci, a piedi. Passi piccoli e veloci, passi lunghi e lenti, ti godi questa sensazione di risveglio di aria fredda sul viso di strada vuota di sole basso all´orizzonte, dev´essere prorpio presto, di luce gialla e giallo tutto e di essere abbagliato e voglia di vita. Ti stiracchi languido, saluti con un cenno il cane della vecchietta al di lá della strada, sei arrivato. Strucke. Entri e hai giá voglia di colazione mentre ordini 15 brötchen. La tipa ti guarda strano. Sorridi, fai: "Buongiorno!" Lei ti garda, alza un sopracciglio e, pefida: "Buonasera." Fine di un sogno.
Prendi il pane ed esci e il sole non si é alzato all´orizzonte. Alzi il colletto della giacca, hai freddo. Ti aliti sulle mani, vedi una nuvoletta di vapore bianco avvolgerle e sparire.
Come la luce.
Rintocchi in lontananza della messa delle 19...ombre lunghe dei tuoi passi sotto il freddo di un lampione.
È solo un´altra mattina...

venerdì 7 novembre 2008

Questa é la storia di due farfalle


Entrambe passarono la vita in una gabbia,
bianche pareti di carta della scatola come confini del proprio universo.
Le due farfalle non sapevano che cosa fosse la luce,
non avevano mai visto il cielo,
non avevano mai assaporato la fragranza
del nettare di un fiore...
Per questo vivevano,
quasi felici,
nel buio universo di cartone
che solo
conoscevano,
e non si potevano struggere per non essere libere,
perché non conoscevano la libertá.
Ma un giorno, sbadatamente,
il Collezionista fece cadere a terra
la gabbia
ed un angolino del coperchio, sollevandosi,
rovesció all´esterno della scatola
una delle due farfalle...